sabato 19 luglio 2014

d'un colpo



D’un colpo. In coda per segreterie, mi accorgo del suono di un gong, del piattista di un’orchestra che rompe le fila e con un gesto solo crea.
Mi butto sul quadro dell’elettricità coi suoi interruttori dietro il vetro, che in questo momento preferisco alla bacheca accanto. La causa del ragazzo prima di me va per le lunghe, ascolto la storia, nel riflesso fisarmonica di schiena porta socchiusa sedia girevole. Il gioco dell’oca delle metamorfosi a tappe, la carta probabilità/imprevisti, riparti dal via, la bugia infinita del se-allora. Il piattista non si è mosso ma i piatti continuano a suonare farfalle, senza pieghe numerate, in un quando che è ora e onda da lasciarsi portare. Ho la tentazione del “subito come prima” stringendo occhi pugni e denti, ma il piattista è impassibile e beffardo. Spazio poco, luoghi molti. Tra me e la soglia della segreteria ci saranno sì e no cinque passi, sentieri avvolti su se stessi, distese d’acqua con fenicotteri rosa che hanno un becco per nutrire e per parlare, interrogarsi e sfiorare. Quanto dura un tuffo in piscina, quanto il tuffo al cuore di un’attesa, quanto l’immobilità senza fermo immagine? 

giovedì 3 luglio 2014

balla spaziale

 


Oggi mi è venuto a trovare un barattolo di tempera: giotto scritto in diagonale con la o a rombo, tappo con la ghiera incrostato di colore.
“No Ceci, tu rimani ad aiutarmi, esci un po’ dopo oggi: devo portare questi al mezzanino e dare l’acqua alla piante. Lo facciamo insieme”. Io e la mia amica Vittoria siamo sempre le ultime a fare la cartella. “Vitto, tu vai: voglio solo la Cecilia”. Abbiamo otto anni, e siamo amiche. Vittoria con le doctor marten’s scortecciate della cugina grande, Vittoria che sa disegnare le cose con proporzioni  prospettiva e un tratto solo suo, che se finisce il mondo ho messo via le caramelle e il posto lo so solo io, e ora te. Vittoria che finisce di fare cartella, ma che di uscire in giardino per la ricreazione fa solo finta. Quando scendo la trovo lì: “che voleva la maestra? sì, certo: anche i suoi si volevano separare: questa sì che  è una balla spaziale!”. Balla spaziale. Riporto fedelmente sul mio diario.
Sono in bici alla pescaia di Santa Rosa e penso che questo scenario di cupole e facciate in fila potrei tirarlo via con una zampata maldestra e poi accartocciarlo. Il foglio dopo sarebbe bianco? O già disegnato? Noterei un particolare prima inosservato, sullo sfondo o in primo piano? Questo poi non ha senso: strappare il foglio non vuol dire strapparsi gli occhi, o sì?  Ho lasciato il sacco della spazzatura in cucina, me lo sono dimenticato accanto alla sedia. Inoltre: parcheggiare la bici sotto i tigli non è stata una grande idea, mi si appiccicano le mani al manubrio e taccio del sellino.
“Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere”: meccanismi mentali, perseguire chimere impossibili, solido fondamento scientifico, provali e fidati della tua esperienza. Penso che fidati è una parola sdrucciola.
Ho pensieri a scartamento ridotto. “A un certo punto ti passa un’ombra e non ti si ripesca più”. Ripesca. Oggi è un secchio sfondato, una nassa senza lische né squame.
E finiti tutti i fogli possibili il quaderno è ancora da aprire, e il lucchetto non conclude.