Oggi mi è venuto a trovare un
barattolo di tempera: giotto scritto in diagonale con la o a rombo, tappo con
la ghiera incrostato di colore.
“No Ceci, tu rimani ad
aiutarmi, esci un po’ dopo oggi: devo portare questi al mezzanino e dare
l’acqua alla piante. Lo facciamo insieme”. Io e la mia amica Vittoria siamo
sempre le ultime a fare la cartella. “Vitto, tu vai: voglio solo la Cecilia”.
Abbiamo otto anni, e siamo amiche. Vittoria con le doctor marten’s scortecciate
della cugina grande, Vittoria che sa disegnare le cose con proporzioni prospettiva e un tratto solo suo, che
se finisce il mondo ho messo via le caramelle e il posto lo so solo io, e ora
te. Vittoria che finisce di fare cartella, ma che di uscire in giardino per la
ricreazione fa solo finta. Quando scendo la trovo lì: “che voleva la maestra?
sì, certo: anche i suoi si volevano separare: questa sì che è una balla spaziale!”. Balla spaziale.
Riporto fedelmente sul mio diario.
Sono in bici alla pescaia di
Santa Rosa e penso che questo scenario di cupole e facciate in fila potrei
tirarlo via con una zampata maldestra e poi accartocciarlo. Il foglio dopo
sarebbe bianco? O già disegnato? Noterei un particolare prima inosservato,
sullo sfondo o in primo piano? Questo poi non ha senso: strappare il foglio non
vuol dire strapparsi gli occhi, o sì? Ho lasciato il sacco della spazzatura in cucina, me lo sono
dimenticato accanto alla sedia. Inoltre: parcheggiare la bici sotto i tigli non
è stata una grande idea, mi si appiccicano le mani al manubrio e taccio del
sellino.
“Come smettere di tormentarsi
e iniziare a vivere”: meccanismi mentali, perseguire chimere impossibili,
solido fondamento scientifico, provali e fidati della tua esperienza. Penso che
fidati è una parola sdrucciola.
Ho pensieri a scartamento
ridotto. “A un certo punto ti passa un’ombra e non ti si ripesca più”. Ripesca.
Oggi è un secchio sfondato, una nassa senza lische né squame.
E finiti tutti i fogli
possibili il quaderno è ancora da aprire, e il lucchetto non conclude.
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