Su un foglietto ritrovo la mia grafia, “vorrei che le cose succedessero come gli alberi”. Cosa volevo dire? Non lo so.
Oggi nella borsa di Gisella c’era una mela, l’ho vista fare capolino dalla cerniera, così, senza cartoccio, solo una mela verde. Francesco va a fare la stagione a Lignano Sabbiadoro e si porta dietro una graziella e tre lucchetti, Paola e Marco parlano di racchette da tennis, su quali scivola meglio la palla. Maria mi sorride, mi ha chiesto dove ho comprato il mio vestito di sempre e ora ne ha uno uguale, le piace questo cencio. Bochra torna in Marocco dopo quattro anni che non vede i suoi, a casa; non sa neanche che treno deve prendere per arrivare alla sua stazione, sono cambiate le ferrovie, le “infrastrutture” dice, poi mi parla della primavera e della stagione delle piogge, a ottobre.
Come gli alberi. Con la schiena appoggiata a un muro, i discorsi intorno. I rami partono di sicuro dallo sterno e fanno il solletico. Oppure rannicchiata, come se esistessero solo le dita dei piedi.
“Niente di tutto ciò -(…)- diciamo, piuttosto, un libro che si chiude” mi ha detto Ray Bradbury da “l’ultima notte del mondo”.