venerdì 13 giugno 2014

Collina

 



Asfalto schiumante e tuoni negli ultimi due dopopranzo. Caldissimi. Questa di giugno è una pioggia bizzosa, che abbassa il cielo e il mal di testa, un’afa bisbetica come l’ultima lettera di un codice fiscale.
Al baretto di Lettere l’altro giorno c’era il sole invece. Tre ore di Tedesco a trentasei gradi e comicio a pensare nella lingua di Pingu. Mi rifugio al davanzale con caffè e budino di riso. Noto un alberuccio mimetizzato a forma d’ombrello, esco a fargli una foto e nel mentre passa un suv in mezzo ai tavolini. Nessuno sembra farci caso, dev’essere un evento abituale, sposto un paio di sedie per evitare che vengano travolte e mi chiedo da dov’è uscito: “associazione mutilati e invalidi di guerra” sul cancello che si richiude. Non so se è più fiacca l’arroganza del suv, l’ironia del cancello o io che racconto.
A Collina. A Collina vent’anni fa si usciva nell’orto e si staccava un pomodoro, gli si tirava un morso e ci si faceva colare addosso. Poi ci si lavavano i denti con il dito e  le foglie di salvia, ai piedi si portavano scarpe tagliate in punta con le forbici, che così “anche se fa un numero ci sta”,  e quando il caldo era troppo non c’era che da girare la maniglia e bagnarsi da capo a piedi con la sistola, lì, accanto alla vasca da bagno con le zampe riempita di terra e di fragole.
E’ solo quando, uscita dalla piscina, mi volto guardare la luna, che finalmente mi esce l’acqua dall’orecchio.  

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