Dopo la piscina con lentezza,
mi avvio a far riparare il pedale sinistro della bicicletta: sono mesi che
rimando e ora schiocca ogni pochi metri. In quest’officina vicino Piazza San
Jacopino non c’ero mai venuta, non conosco questo quartiere, le strade coi nomi
di compositori, le incrocio di sfriso. La crema dopo doccia norvegese che mi
sono portata in piscina sa irrimediabilmente di didò. Pelle di didò e capelli
di cloro, arrivo all’indirizzo che mi hanno consigliato e mentre aspetto il
pedale nuovo fuori dall’officina, mi accorgo che la palazzina dall’altro lato
della strada ha qualcosa che mi cattura, l’occhio ci si appoggia un po’ troppo:
ma sì, sono due porte identiche quasi attaccate. E al piano di sopra un balcone
unico, senza divisorio, con due portefinestre anche loro identiche.
Chi abita
qui? Due coniugi che non vogliono tenere gli spazzolini da denti nello stesso
bicchiere, una piuma che cade avvolgendosi su se stessa e l’equazione di
gravità, due amanti timidi che non vogliono farsi vedere mano nella mano, le
parole dette e le parole ascoltate. Ma c’è un momento, ora che sono qui lo so,
che escono sul balcone tutti e due, ciascuno dalla sua portafinestra,
appoggiano i gomiti alla ringhiera e si infossano un po’ nelle spalle.
Non
saprò che cosa stanno guardando rapiti, perché a quel punto l’officina sarà già
sparita, e anch’io, col mio pedale sinistro.
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