Imparo che cielo e vuoto in Giappone sono omografi e che hanno la stessa pronuncia. “Non avrai mica il complesso della prima della classe? Di’ la verità, eri una primina…” “No, non ho fatto la primina” “intendo eri la prima della classe” “mh, devo esserlo stata, sì, tipo meteora”.
“Un brindisi alla Norcini, il cento più meritato della scuola!” sarcasmo da capotavola, volo del centrotavola.
Chissà perché mi viene in mente un’altra tavolata, ho undici anni e il gruppetto dei fratelli maggiori ridacchia “Ora basta voi, è tutta la sera che vi tengo d’occhio, mi avete rotto. Ora ci si alza in piedi uno per uno e si dice ad alta voce fica” arriva il mio turno e mi alzo “Ceci te non importa”.
Salto temporale di quattordici anni, Lucca prima del concerto di Nick Cave. “Si potrà dire tutto, ma non che a Lucca manca la fica” “La vita?” “la fica, la fica!” “ma c’è tua figlia” “appunto”. Intercetto uno sguardo premuroso camuffato da. “Non ti preoccupare, Ermete: sono cresciuta col Vernacoliere diciamo in tasca”.
Penso alla mia daruma strabica, sarà che ho l’occhio destro miope e il sinistro ipermetrope, o l’ascendente opposto. Dogen nel 1243 disegna: “Essi sanno che i fiori del cielo esistono perché esiste la malattia degli occhi, ma ignorano la verità secondo la quale la malattia degli occhi esiste perché esistono i fiori del cielo”.
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