sabato 3 maggio 2014

polaroid






Guardando da un cannocchiale al contrario: io e mia madre su una panda bianca,  primi anni ’90, viale dei colli. Mamma, vere fossette, veri zigomi e vera bellezza. Sceglie sempre di cantare Celentano nel tragitto tra casa e casa dei suoi. “Azzurro” se c’è ancora luce e “a mezzanotte sai” appena si accendono i lampioni. A me piace la parte con l’oleandro e il baobab. Babaob. “mamma, cos’è un loratorio?”.  Ci chiedono cosa vogliamo diventare, quasi da subito. Mi chiedo invece, gioco facile, cosa vogliamo disertare. Puntino bianco in curva, dopo curva. De-serere, s-nodare. Lo chiedo alla mia volontà krakatuk, piccola noce recalcitrante. Ho la frangia e le trecce Sioux, come sempre, per carnevale mi sono pure travestita da indianina, è bastato aggiungere una penna dietro l’orecchio, e il vestito con le frange. Disertare tra una freccia e un’altra, di stazione in stazione. 
“Cecì, quand’è che mi mandi affanculo?” il mio amico Edoardo, compagno di studio “mai Edo e lo sai.” Mai, perché nelle puntine da disegno che mi metti intorno alle scapole riconosco le penne di gabbiano, me le appunti recitando litanie silenziose come quelle che levano gli orzaioli, e non lo fai certo per disegnarmi una santerella o una martire al neon, ma per ricordarmi che ho le gambe, che se anche il pavimento, sotto i piedi, mi scivola via, ho le gambe. 
Oggi è piovuto, e sì lo so che alla collana di perline che ho fatto ne ho infilate otto in più, ma ci sono stati 6 minuti e 50 di arcobaleno. E un arcobaleno anche in bianco e nero è un arcobaleno.    

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