domenica 23 novembre 2014

sitting

 

Muro bianco. Che cos’è il muro? Che cosa se non un soffitto verticale? E che cos’è il soffitto se non l’unica porzione di cielo che  sappiamo di poter toccare? Chiudo gli occhi, un solo battito. La prima volta che mi sono seduta, bianco intollerabile: una pagina da non riempire. La pagina che non sai, e no che non la volti. La mia grafia sbavata sul retro. Scopri che esistono gli altri intorno, e solo quando non li puoi vedere; il loro respiro, accordarsi. Centottanta gradi sono la differenza di questo momento. La fotografia che ti rimaneva dietro le spalle e che non hai scattato. Scattato. Inglese to shoot. Sarà banale, ma penso: invece di scattare, di scoccare, staccare. Staccare un volto dalla tela, il proprio volto dalla tela del giorno. Pellicola sottile tra te e il cielo: da bambini lo disegniamo con una striscia di pennarello, in cima al foglio. A volte lo graffiamo se l’inchiostro è poco, pur di disegnarlo. Ma tutto il bianco che rimane è quello che ti trovi davanti ora, seduto. Si siede anche il muro, ti siede di fronte. È bravo a non dare risposte, a non incalzarti con appigli e certezze. Ti lascia, semplicemente. Ti lascia, ma è sempre lì davanti. Lasciar cadere: sei già per terra. La forza di gravità non spinge, la colonna sono le vertebre una sull’altra. E la vertebra che di solito viene indicata come la prima, appena sotto il cranio, e che chiamano Atlante, a me ora pare l’ultima. Atlante come il titano condannato da Zeus a portare sulle sue spalle il peso dell’intera volta celeste, ironia degli anatomici. Mi pare l’ultima, dicevo, perché è l’unica che in questo momento deve credere: credere al filo del burattinaio che la tenga su. Hanno un’anima le marionette? Probabile di sì. Sanno le marionette in ogni loro nodo e giuntura, sanno che basta un soffio, e in questo sono sorelle delle candele. Noi no. Pensiamo di poterci curvare e decidere, inventiamo ombrelli per la pioggia e per il vento. Non ora, non qui. C’è il muro ora, e solo un filo da non disegnare.  


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