martedì 1 aprile 2014

la sorbottiera-3


Effetti

“Colleziono effetti” mi sento dire in una pausa di parlato tra i silenzi a vanvera di una telefonata. Colleziono effetti, lo sentii dire dal ragazzo che scoprì che gli piacevano gli uomini alla bella formosa che si era innamorata di lui “il mio non collezionarlo per favore, non è neanche un effetto”. Anni dopo come la carta fedeltà di un negozio che non esiste più, mi risbuca dal portafoglio questa frase assurda. Quant’è che non do una spiegazione? Due anni, due giorni, o non sono neanche due secondi? Sono al punto che non si ha più neanche il coraggio di chiedermela. Spiegazione poi di che, di questa mia tipografia grigia che è iniziata nei libri di testo che sembrava volessi prendere in giro, questa mia tipografia grigia a cui sono stati via via appiccicati i post it più svariati: passerà, blocco, maldamore, sembra che le cose capitino solo a lei, spalla tonda, carattere di merda, smetti- i pragmatici che non aspettano neanche di girare l’angolo per fregarsi le mani, esaurimento- gli incuranti degli ultimi vent’anni di dsm, coque tu- i latinisti da terza media con la bava alla bocca, IO ti voglio aiutare- la crocerossina a cui la borsa del ghiaccio serve per spargere in terra i ghiaccioli, enlarge your writings, da ultimo, devo aver letto da qualche parte qualcosa di simile. Da bambina mi dicevano “che c’è, ti sei mangiata la lingua?” rispondo, forse neanche poi tanto in ritardo, che sì, devo aver fatto un tentativo, ma mi è rimasta di traverso.
E invece di scappare sia pura in quell’ultima direzione, poiché soltanto la fuga poteva mantenerlo sulla punta dei piedi e soltanto le punte dei piedi potevano mantenerlo in questo mondo, invece di ciò si è coricato, come talvolta d’inverno i fanciulli si buttano nella neve per congelare. Lui e questi fanciulli sanno benissimo che è colpa loro se si sono buttati là o in altro modo hanno ceduto, sanno che non avrebbero dovuto farlo a nessun costo, ma non possono sapere che, dopo il mutamento che ora avviene di loro nei campi o in città, dimenticheranno ogni colpa precedente e ogni imposizione e si muoveranno nel nuovo elemento come fosse il loro primo elemento. Ma dimenticare non è qui la parola giusta. La memoria di quest’uomo ha sofferto altrettanto poco quanto la sua fantasia. Esse però non possono spostare le montagne; l’uomo è ormai fuori dal nostro popolo fuori dalla nostra umanità, è continuamente affamato e a lui appartiene solamente l’istante, il sempre continuato istante di un tormento cui non segue la scintilla di una ricreazione; egli ha sempre una cosa sola: i suoi dolori, ma in tutto il mondo intorno nessun’altra cosa che possa farsi passare per medicina; egli ha soltanto quel terreno che occorre ai suoi due piedi, soltanto quel sostegno che le due mani coprono, dunque, molto meno del ginnasta al trapezio nel teatro del varietà, sotto al quale tendono per giunta una rete di sicurezza.
La dedica sui Diari di Kafka mi dice di aprirli a caso, ma in questo punto mi si devono essere imbarcate le pagine.
Non colleziono effetti. 

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