Il Tonto Anatroccolo
C’era una volta un anatroccolo. Un pomeriggio dopo la scuola, come tutti i pomeriggi dopo la scuola, andò a giocare ai giardini con i suoi compagni di classe. Mentre faceva i giochi che fanno di solito gli anatroccoli, come andare sul girello a tutta velocità mangiando il gelato ai lamponi con la granella di lombrichi, pensò di salire sulle spalliere fino al piolo più alto e poi slanciarsi a testa in giù e agganciarsi con le zampette. Ma dopo molte volte che ripeteva questo esercizio di grande acrobazia, e che dopo ogni volta si concedeva come premio un bombolone alla crema di trifoglio, il nostro anatroccolo fece un bel tonfo e si ruppe una zampetta. Da allora la scia che lasciava nell’acqua quando nuotava non era più netta, ma tratteggiata come quelle per ritagliare che si trovano nei collages, e gli altri anatroccoli per prenderlo in giro gli andavano dietro con le forbici come per ritagliare la sua scia. Lui però era un anatroccolo orgoglioso e fingeva di non accorgersene, allora tutti nello stagno presero a chiamarlo il Tonto Anatroccolo e lui anche di questo fingeva di non accorgersi, ovviamente peggiorando le cose. Ogni sera il Tonto Anatroccolo faceva in gran segreto degli esercizi che si era inventato per abituare la zampetta sana ad andare di qua e di là così veloce da rendere la scia di nuovo intera, e tra sé e sé aveva cominciato a chiamarsi il Django Anatroccolo. Dopo molto allenamento la scia tornò perfetta e gli anatroccoli dello stagno decisero che c’era sotto qualcosa di poco pulito e continuarono a chiamarlo il Tonto Anatroccolo, ma più a bassa voce. Venne il tempo in cui il Tonto Anatroccolo dové cambiare stagno per motivi di studio. Nello stagno nuovo nessuno lo chiamò più il Tonto Anatroccolo e lui diventò un bravissimo fisioterapista e inventò un metodo per sviluppare i muscoli delle ali degli anatroccoli che così potessero non dico volare, ma almeno planare, almeno dall’altezza dell’ultimo piolo delle spalliere. Una sera confessò a sua moglie che da anatroccolo era caduto e si era rotto una zampa, e lei “non me ne ero mai accorta: non per nulla mia zia, che mi voleva un gran bene, da piccola mi chiamava la Tonta Anatroccola. Però finalmente ho trovato la spiegazione del particolare che in te mi ha sempre affascinato di più: il becco storto.”
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