C’era
una volta Raperonzolo. Dopo l’esame di maturità era andata a vivere in mansarda
e non era più scesa. Trascorreva le giornate a leggere libri solo per il gusto
di fraintenderli e scriveva al contrario tutto quello che non capiva. Non si
era più tagliata i capelli e si divertiva a scacciare pretesi pretendenti,
pretesti e piccioni tirando dalla finestra i noccioli delle ciliegie che sua
zia- l’unica che si ricordasse di lei- le mandava su con un cestino in tutte le
stagioni. La sua lunga treccia le serviva per far scendere Scipio, il gatto che
si accorgeva di soffrire di vertigini solo dopo essere arrivato sul tetto.
Aveva una collezione di sedie a dondolo da corsa, ognuna che faceva andare i
pensieri a una velocità diversa.
Raperonzolo però soffriva d’insonnia,
dunque per addormentarsi si raccontava la storia di Raperonzolo e tutte le
Raperonzolo dopo di lei facevano lo stesso, finché anche l’ultima, l’unica con
le doppie punte e la ricetta dello xanax in tasca, cominciava a raccontare.
Allora Raperonzolo si addormentava.
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